Occorre anche aumentare i salari perché negli ultimi tre decenni, le politiche contro il lavoro hanno determinato, tra gli altri, un notevole abbassamento del livello dei nostri salari, stipendi e compensi.
Non è un caso che le dinamiche salariali siano state fortemente “rallentate”, allo stesso modo di come non sono incidenti della storia l’alto tasso di disoccupazione, la sotto-occupazione, etc. Il sacrificio dei salari è stato imposto sull’altare delle esigenze antinflattive, utile per rendere l’export più competitivo (almeno di alcuni, ben noti, Paesi). La riduzione dell’orario non può, dunque, slegarsi da una lotta sull’aumento dei livelli salariali, anche perché si potrebbe arrivare al paradosso per cui determinate categorie di lavoratori, avendo più tempo per loro stessi, non avrebbero risorse sufficienti per impegnarlo proficuamente ad esempio, per viaggiare, per frequentare un corso di formazione o, più banalmente, per iscriversi in palestra.
L’aumento dei salari deve avvenire sia in maniera indiretta (attraverso il reddito di cittadinanza universale e di base – che, di fatto, rappresenterebbe il gradino minimo di retribuzione proponibile – e l’aumento dell’occupazione, attraverso il Job Guarantee) sia direttamente attraverso la contrattazione collettiva, ad esempio, alleviando la pressione fiscale sugli aumenti salariali contrattati.
Proposta legislativa
Le quote di aumento salariale concordate dalla contrattazione collettiva in occasione dei rinnovi dei CCNL sono detassate (per la parte relativa al recupero inflazionistico) e decontribuite (per la restante parte). L’agevolazione è valida per un massimo di quattro anni dall’erogazione della prima quota di aumento salariale.